Religioni nel Mondo

Cristianesimo

Il Cristianesimo ebbe inizio con la vita, la predicazione, la morte, la risurrezione e l’ascensione di Gesù, un uomo di origine ebraica, che i cristiani riconoscono come il Figlio di Dio. Le sue radici, però, risalgono alla tradizione ebraica, dato che il Cristianesimo si presenta come Nuova Alleanza o Nuovo Testamento, in chiara relazione con un elemento più antico. La vita di Gesù, il quale si autocomprendeva come Cristo o Messia, e le prime interpretazioni su di lui, sono raccolte nel Nuovo Testamento, un corpus di 27 scritti che include i vangeli, le epistole o lettere, e altri scritti tutti risalenti al I secolo.
Ognuno di questi scritti riconosce che Gesù era, ed è, la personale iniziativa di Dio al fine di instaurare il suo regno nel mondo. Il potere di Dio sul mondo fu annunziato da Gesù mediante l’insegnamento, il perdono dei peccati e le guarigioni, al punto tale che sembrò essere Dio stesso a parlare e operare in lui per dirla con le parole di Gesù: “Chi ha visto me ha visto il Padre” (Giovanni 14,9).
Tuttavia Gesù parlò di Dio e con Dio chiamandolo “Abbà”, “Padre”, percependolo come distinto da se stesso. Ciò portò i primi cristiani a credere che Gesù fosse sia Dio sia uomo. Dalla fede che “è stato Dio a riconciliare a sé il mondo in Cristo” (Seconda Lettera ai Corinzi 5,19) scaturirono le dottrine basilari del Cristianesimo: l’incarnazione, la cristologia, la teologia trinitaria, la soteriologia. Poiché Gesù nacque come un vero essere umano (egli chiamava se stesso “il Figlio dell’uomo”, che nella Bibbia ebraica significa “chi é nato per morire ma sarà salvato da Dio al di là della morte), molti cristiani hanno una gran devozione verso sua madre, Maria. E’ per il concepimento e la nascita di Gesù, che l’incarnazione divenne possibile.Gesù era un ebreo ortodosso e il cristianesimo ebbe origine come setta del giudaismo: non è certo che Gesù intendesse fondare una religione distinta. I suoi discepoli lo accolsero come il Messia – termine ebraico che significa  colui che è unto  e che in greco si traduce con Cristo atteso dagli ebrei. All’inizio i cristiani furono selvaggiamente perseguitati, ma alla fine l’imperatore Costantino adottò il cristianesimo come religione ufficiale dell’impero romano. Nei due millenni successivi esso si diffuse fino a diventare una forza dominante della cultura occidentale.
Con la parola cattolicesimo si indica la religione predicata dalla chiesa romana. Il cattolicesimo riconosce come unica guida il papa di Roma detto anche pontefice o santo padre, che è considerato “il vicario di Cristo sulla Terra”. La chiesa romana si definisce in quattro punti fondamentali: una santa, cattolica e apostolica (cioè missionaria). Il termine cattolico deriva da due termini greci: kata, vale a dire secondo/riguardante, e holos, cioè totalità. Ha dunque il significato di universale ed evoca ciò che include tutto. Lo spirito del cattolicesimo si esprime nella totalità anziché nella parzialità, nell’universale anziché nel particolare.
La cattolicità è l’attributo del cristianesimo inteso nella sua completezza. In qualche modo può essere collegato al fatto che Gesù è Signore e Re sopra tutta la realtà, il Signore dei Signori e la chiesa può quindi essere compresa come una realtà universale sotto la Sua giurisdizione. Mentre molte religioni s’accontentano di limitare la propria influenza ad un luogo, il cristianesimo insiste sulla sovranità universale di Gesù Cristo.
Da un punto di vista storico, si può dire che i Padri della chiesa ritenevano che dove vi era Gesù, là vi fosse la chiesa cattolica (Ignazio, Smyrn. 8,2). Quando in seguito il termine figurò nel Credo apostolico, “cattolico” si evocò l’universalità della chiesa e quindi la sua unità. Accanto a questo significato giunse anche quello di “ortodosso”. Verso la fine del secondo secolo, infatti, quando le eresie divennero una crescente minaccia, il termine cattolico divenne l’equivalente di giusto. Il cattolicesimo romano si presenta oggi come una realtà assai precisa anche se multiforme, e quindi si può cercare d’indicare alcuni dei suoi tratti principali.
Anche se al suo interno si possono discernere componenti diverse (teologia agostiniana, tomista, gesuita) e contrastanti, il cattolicesimo romano possiede alcuni elementi unificanti, favorito in ciò, dall’autorità papale. Per quanto concerne la nozione di rivelazione il cattolicesimo romano afferma l’esistenza di una rivelazione naturale in grado di provare l’esistenza di Dio su base razionale e una rivelazione più specifica che consente alla fede di accedere ai misteri attraverso la guida della chiesa che li ha ricevuti in deposito.
La fede apostolica, di cui la chiesa cattolica sarebbe depositaria, è costituita dalla Scrittura e dalle tradizioni per questo la Bibbia non costituisce l’unica norma per il pensiero e l’azione. Per quanto concerne la nozione di mediazione, pur riconoscendo il carattere unico della mediazione di Cristo, il cattolicesimo non esclude e anzi assume che vi siano anche mediazioni secondarie che traggono da Cristo il loro valore. Si afferma che il Figlio, volendo assumere l’umana natura per redimerla e nobilitarla e stringere un mistico connubio col genere umano, cercò il consenso della Vergine (DS 3274).
I sacerdoti stessi sono così considerati ministri del vero mediatore e sono in grado di conferire nel nome di Cristo i sacramenti della salvezza. La chiesa istituzionale è concepita come il prolungamento dell’incarnazione di Cristo dando luogo ad una sorta di fusione. Sul piano pratico, il cattolicesimo mostra una notevolissima capacità di dialogo che, gli consente di avvicinarsi alle più disparate esperienze religiose e di porsi come un punto di riferimento privilegiato. La continua attenzione per il mondo circostante gli consente di esercitare una forte autorità morale.
L’Ortodossia è prima di tutto ortodossia di vita e non ortodossia d’indottrinamento, essa fin dal principio, non spicca come una dottrina o un’organizzazione esterna, non da una norma esterna di comportamento ma indica una vita spirituale, un’esperienza spirituale e un percorso spirituale. La sostanza del Cristianesimo è vista in un’intima attività spirituale. L’Ortodossia non si identifica con una forma legale di cristianesimo (nel senso d’un insieme di norme razionali e di leggi morali) quanto, piuttosto, con la sua forma più spirituale. Questa spiritualità e misteriosità dell’Ortodossia hanno spesso contribuito a determinare la sua esterna debolezza.
La Chiesa ortodossa non è mai stata soggetta ad una singola autorità esterna, la forza che l’unisce è data dalla stabilità della sua intrinseca tradizione, infatti, rispetto alle altre forme cristiane, l’Ortodossia è quella più vicina all’antichità cristiana. La Chiesa ortodossa non è definita da concetti razionali, viene espressa in concetti solo per coloro che vivono in essa, per coloro che sono uniti alla sua esperienza spirituale. Le forme mistiche del Cristianesimo non sono soggette ad alcun genere di definizioni intellettuali, non posseggono alcuna firma giuridica o razionale. Fare teologia in maniera genuinamente ortodossa significa fare teologia sulla base dell’esperienza spirituale.
L’Ortodossia è quasi totalmente mancante di manuali scolastici, comprende se stessa attraverso la religione trinitaria; non con un astratto monoteismo ma in un concreto trinitarismo. La vita della Santa Trinità è riflessa nella sua vita spirituale, nella sua spirituale esperienza e nel suo percorso spirituale. La Liturgia Ortodossa inizia con le parole: “Benedetto è il Regno del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”. Ogni cosa inizia dall’alto dalla Triade divina, dall’altezza della sua Essenza, non dalla persona e dalla sua anima. Nella comprensione ortodossa è la Divina Triade che discende non la persona che ascende.
L’Ortodossia è principalmente liturgia, difatti, il popolo cristiano è informato e illuminato non solo dai sermoni e dall’insegnamento ma dalle liturgie che infondono e adombrano la vita trasfigurata. La liturgia insegna attraverso, la vita dei santi, incoraggiandone il culto. La peculiare caratteristica dell’Ortodossia è la libertà, questa realtà interiore non è osservabile all’esterno ma è presente dappertutto. L’ammissione della libertà di coscienza distingue radicalmente la Chiesa Ortodossa da quella cattolica. Inoltre, l’individualismo è estraneo all’Ortodossia.
Il Protestantesimo afferma che Gesù Cristo è unico mediatore fra Dio e l’umanità, vale a dire che non c’è bisogno di altri poiché, nella sua vita e nelle sue opere, ha distrutto la differenza tra “sacro” e “profano”: incontrando i peccatori, le prostitute, a gente di cattiva reputazione, ha annunciato la loro salvezza, l’amore di Dio al di là di ogni barriera sociale e religiosa. Egli ci ha mostrato che nella vita nuova il Lui non c’è più bisogno di persone speciali. La questione è quella delle “funzioni”, che sono l’espressione dei doni dello Spirito Santo, dato a tutti i credenti: e ciò che è chiamato “sacerdozio universale dei credenti”.
Per questa ragione il pastore e la pastora non sono “preti che si possono sposare”, ma sono piuttosto degli “esperti di Bibbia” a disposizione della comunità, perché tutti i credenti possono predicare ed amministrare i sacramenti. Il termine “protestante” è un buon riferimento al movimento della Riforma. Un protestante, quindi, in senso proprio, non è solo uno che protesta contro la corruzione, gli abusi, e l’apostasia del papismo, ma che pure rende fedele testimonianza ai principi fondamentali dell’Evangelo, come sono presentati dalla Parola di Dio.
La protesta è anche contro ogni forma di umanesimo che, mettendo l’essere umano al centro dell’attenzione come unico punto di riferimento, non dia la gloria che Gli è dovuta, come pure contro ogni forma di corruzione e di decadimento dai principi che potrebbero manifestarsi persino al suo interno. Il punto centrale che spinge Lutero a rompere con Roma è quello della cosiddetta giustificazione: come faccia l’uomo a salvarsi se resta, anche dopo il battesimo, peccatore. Un certo cattolicesimo, contemporaneo a Lutero, dava la sensazione di sottovalutare tale problema, come se il raggiungimento della salvezza fosse casa facile.
Il punto culminante di tale, diciamo così, “spensieratezza” era la pratica delle indulgenze, che alcuni predicatori presentavano in termini scandalosamente meccanico-esteriori: come se bastasse fare una offerta di denaro, per garantire la salvezza eterna di un parente defunto. Lutero invece avvertiva il problema della propria salvezza con tormentosa angoscia. Tale tormento va collegato al fatto che la Chiesa del suo tempo sottolineava poco la dimensione di novità del Cristianesimo, per insistere invece di più sulla osservanza di leggi etiche.

Confucianesimo

La religione di Confucio non è una fede che dipende da una “rivelazione”, ma è piuttosto una filosofia esistenziale: non ci sono dogmi né clero (nel senso di una casta sacerdotale professionale, poiché l’esecuzione dei riti era generalmente affidata a funzionari statali e capifamiglia). Essere virtuoso, per Confucio, significa avere autocontrollo, moderazione e saper agire con giustizia, a imitazione degli antichi, che non avevano leggi esteriori costrittive e che consideravano l’amore per il prossimo non un semplice dovere ma un’esigenza vitale.
Prima di ricercare dio (che coincide col “cielo”), l’uomo deve conseguire questi prerequisiti umani attraverso l’educazione e l’autoeducazione. A chi gli chiedeva di parlargli dell’aldilà, Confucio rispondeva: “Non abbiamo ancora imparato a conoscere la vita, come potremo conoscere la morte?”.
In queste parole si riassume l’atteggiamento non solo dei confuciani, ma anche dei cinesi di fronte a quei problemi, che ogni chiesa o confessione considera tipici della personalità religiosa. I cinesi hanno più interesse per la vita pratica che non per il futuro dell’anima. L’idea di dio per loro equivale a quella di natura e nella storia religiosa della Cina non vi sono mai stati grandi apostoli, martiri o redentori. Anche i capi religiosi furono pochissimi. Confucio, ad es., non era una figura monastica: amava suonare il liuto, cantare in coro, andare a caccia e a pesca. D’altra parte nessun cinese si è mai sentito esclusivamente confuciano, buddista o taoista.
Tutte e tre le religioni, infatti, insegnano che l’uomo, all’origine, è buono e che può raggiungere la salvezza attraverso la conoscenza della natura umana. Il primo ambito sociale in cui l’uomo impara ad essere autentico, secondo Confucio, è la famiglia. Il figlio apprende la pietà filiale: deve al padre rispetto e sostegno nella vecchiaia, mentre il padre gli assicura protezione e lo aiuta a formarsi. Il secondo ambito è la società civile, ove si apprendono e si applicano la giustizia, l’altruismo, la compassione e soprattutto la benevolenza (che sta alla base di tutte le virtù).
Il terzo livello è quello dello Stato, ove i sudditi (specie i funzionari statali) sono tenuti alla lealtà-fedeltà, a condizione naturalmente che il sovrano governi con virtù e non con lassismo e corruzione o tramite la rigorosa applicazione delle leggi. Confucio era favorevole ad una monarchia patriarcale, feudale e gerarchica. In pratica i confuciani concepivano lo Stato come una gran famiglia al cui vertice stava il re (“mandato dal cielo”), mentre più in basso tutti osservavano i diritti-doveri della loro condizione sociale, secondo un codice prestabilito che regola i rapporti tra signore e vassallo, tra padre e figlio, tra il primogenito e gli altri fratelli, tra marito e moglie, tra amici e compagni.
I due concetti-chiave del Confucianesimo sono il rito e la benevolenza: entrambi presuppongono il retto agire e il buon governo. I “riti” sono la forma dell’agire, la “benevolenza” ne è il contenuto. Il rito dipende dalla benevolenza: senza di questa diventa formale, vuoto, falso. Il rito più importante è il culto degli antenati, che è in verità la fonte di tutte le religioni cinesi. Questo culto fu introdotto all’inizio della dinastia Chou (1122-256 a.C.) e Confucio non fece altro che divulgarlo. Ai suoi tempi gli antenati non erano più divinizzati, ma semplicemente venerati.
Il culto era eseguito dai capifamiglia (o dai capi-clan). A fondamento del culto sta la pietà filiale prolungata oltre la morte. Il fine è quello di mantenere viva la coscienza di appartenere ad un gruppo più vasto di quello che si vive sulla terra. Ogni famiglia aveva un proprio tempio (ciascun gruppo familiare uno per il capostipite, e così via, sino agli antenati dell’imperatore). Al suo interno vi erano delle tavolette geroglificate, conservate in piccole teche: ognuna di esse rappresentava un antenato. Le cerimonie erano compiute in momenti particolari (nascita, morte, matrimonio, ecc.), oppure quando si doveva chiedere consiglio-assistenza per poter prendere importanti decisioni.
A Confucio non interessava tanto il rapporto degli uomini con le anime di questi defunti (non esiste nel canone una “teologia dell’aldilà”), quanto il fatto che in tal modo l’unità della famiglia (e quindi della nazione) restava salvaguardato. Il rito doveva servire per tenere unita la famiglia, la società e lo Stato: doveva insomma dare agli uomini il senso di appartenere a una collettività molto vasta, forte e compatta, insegnando loro le virtù. Per i confuciani, una persona quando muore ha l’anima che si separa in tre parti: una sale in cielo, la seconda rimane nella tomba per ricevere sacrifici e offerte di cibo, la terza viene localizzata nella tavoletta del tempio
Quest’anima può trasformarsi in uno spirito buono o cattivo: la sua sorte è decisa dal suo passato e dalla sollecitudine con cui i parenti ne onorano la memoria. Quindi più sontuose sono le cerimonie funebri e i riti commemorativi e più aumentano le probabilità che egli divenga uno spirito buono e di conseguenza benefico per i vivi. Sul piano dei valori il concetto fondamentale promosso da Confucio è quello di benevolenza, paragonabile al concetto di “amore”. La famosa massima evangelica “non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te” era stata detta da Confucio cinque secoli prima.
Né gli era sconosciuto il concetto di “amore universale” (il principio è: “considera tutti come fratelli”) e di giusto mezzo (secondo cui per cercare di realizzare un ideale bisogna scendere a leciti compromessi). Benché sia stato a lungo l’ideologia ufficiale dello stato cinese, il confucianesimo non fu mai una religione istituzionalizzata con una chiesa e un clero. Gli eruditi cinesi onorarono Confucio come un grande maestro e un saggio ma non lo venerarono mai come una divinità personale, benché gli occidentali abbiano identificato a lungo questa venerazione con quel culto degli antenati che è parte integrante della religione cinese.

Buddismo

Il Buddismo originario non è una religione nel senso ordinario della parola, perché il Buddha non si è posto il problema di Dio, ma piuttosto quello dell’uomo. Il Buddismo iniziò storicamente nell’India settentrionale nel VI o V secolo a.C., quando un uomo di nome Siddhartha Gautama raggiunse”l’illuminazione”, la verità ultima, attraverso la quale gli uomini sono liberati dal ciclo della rinascita. Egli divenne il Buddha, che significa illuminato, e insegnò agli altri la strada per sottrarsi alla rinascita e alla sofferenza. La verità della disciplina del Buddha, o insegnamenti del Buddha, o Buddha dharma, sono, a detta dei seguaci del Buddhismo, sempre esistiti.Secondo le tradizioni buddiste, Gautama Buddha visse in un periodo tra il VI e il IV secolo a.C., nell’India nord orientale, nacque da una famiglia reale del clan Shakya, suo padre, temendo che fosse turbato da esperienze spiacevoli, lo tenne confinato nel palazzo ma, a 29 anni Gautama vide per la prima volta la sofferenza umana sotto forma di vecchiaia, malattia e morte. Siddharta Gautama non fu un Dio, ma un uomo, un maestro, e sull’esempio di un religioso mendicante rinunciò ai beni, agli onori, alla moglie ed al figlio per diventare asceta: l’asceta dei Sàkya.Sedendo sotto l’albero Bodhi, passò tutte le fasi della meditazione (jhana) e raggiunse l’illuminazione, comprendendo la vera natura della sofferenza. La tradizione afferma che in una notte del 531 seduto ai piedi del fico di Gaya egli sperimentò la perfetta purezza percorrendo i vari stadi della meditazione.Dopo 4 settimane di meditazione, ormai divenuto Buddha, iniziò a predicare le quattro “nobili verità” che aprono gli occhi e forniscono la salvezza:il dolore (dukka),che da ogni parte incombe su tutto ciò che è vita;il desiderio (samudaya),che sta all’origine di esso;la necessità dell’estinzione (niradha),che deve cancellare il dolore;l’indicazione della via (màrga),che rende possibile tale estinzione e che è distinta in otto parti, il nobile cammino a 8 diramazioni (àrya astàñgikamàrga).La salvezza si trova nell’estinzione del dolore (il Nirvana).” È un male rimanere senza nessuno a cui testimoniare venerazione e rispetto”.Questa è la nota frase pronunciata al termine delle meditazioni sotto il fico di Gaya da Siddharta Gautama, che riassume quello che è lo spirito del Buddismo.Da qui in poi, lo si conosce come il Buddha, e per circa quarat’anni, fino alla morte, insegnò agli altri, predicando il suo primo sermone nel “Parco delle Gazzele” a Sarnath, nell’India nordorientale.Il buddismo è una delle grandi religioni straniere che ha conosciuto un’espansione straordinaria soprattutto tra IV e XIII secolo d.C. , quando praticamente tutta l’Asia fu buddista.Attualmente questa religione si presenta in tre correnti:il Theravàda (dottrina rigorosa degli antenati);il Mahàyàna (comprende molte fedi diverse);il Vajrayàna (si inserisce sulla scia del Mahàyàna ed ammette forme maggiormente vicine alle religioni animiste ed alla magia).

Giudaismo

Il Giudaismo è la più antica religione poichè risale a circa mille anni prima di Cristo. I primi ebrei erano nomadi che vivevano all’interno e ai margini dell’antico Egitto. I loro profeti, o capi religiosi, trassero in parte le proprie idee dalle credenze esistenti nella religione, ma si differenziarono da esse per la fede in unico Dio onnipotente. Gli ebrei credevano che Dio richiedesse l’obbedienza a rigidi codici morali e consideravano la propria come la sola vera religione. Fino alla creazione di Israele, avvenuta poco dopo la fine della seconda guerra mondiale, non esisteva alcuno stato in cui il giudaismo fosse la religione ufficiale.
Essendo il solo popolo monoteista, in mezzo a nazioni idolatre, il popolo ebraico è stato, fin dalla sua costituzione, combattuto e perseguitato proprio a causa di questa sua specificità. Si può affermare che la fede nel Dio unico, abbia reso unico anche il popolo d’Israele, e lo abbia separato, in un certo qual modo, dagli altri popoli politeisti.
La professione di fede nell’unico Dio è espressa nello Shemà. “Ascolta, Israele, il Signore è il nostro Dio, il Signore è unico!”
La preghiera dello Shemà è la dichiarazione di fede e di appartenenza a Dio che caratterizza la vita di ogni ebreo, di generazione in generazione. Essa è recitata mattina e sera ed è contenuta – scritta a mano su piccoli rotoli di pergamena – in astucci di cuoio, detti tefillin (filatteri), che si legano sulla fronte e sul braccio sinistro, prima della preghiera Inoltre, una piccola pergamena con le parole dello Shemà – custodita in un astuccio detto mezuzàh – è applicata sul lato destro della porta di casa delle famiglie ebree.
Ciò avviene in ossequio al comando del Signore: “Ascolta, Israele”, il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze. Questi precetti che oggi ti do, ti stiano fissi nel cuore; li ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando sarai seduto in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai. Te li legherai alla mano come un segno, ti saranno come un frontale tra gli occhi e li scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte” (Dt 6, 4-9). Tra le grandi religioni monoteistiche quella ebraica è la più antica.
Il termine “ebreo” proviene dall’ebraico “ever”, che significa “al di là”, per ricordare costantemente all’ebreo che la sua origine si trova al di là del mondo fisico. “Giudeo”, invece, è un termine più particolare. In origine, il popolo di Israele era composto da dodici tribù. Ma nel corso della storia, da circa 2500 anni, soltanto la tribù di Giuda è rimasta. Le altre sono state esiliate in luoghi lontani, o si sono assimilate fino a perdere la loro identità originale. Tutti gli ebrei di oggi sono discendenti dalla tribù di Giuda, che governò la parte meridionale di Israele fino alla distruzione del secondo tempio (nel 70 d.C.)
Il nome “giudeo” deriva quindi dal nome della tribù di Giuda (Yehuda in ebraico). La tradizione ebraica considera ,invece, la propria esperienza religiosa eminentemente come osservanza della Torah, la legge suprema che Dio ha donato al suo popolo, e come Halakah, una “via”, un percorso di fede e di vita da seguire scrupolosamente a livello personale e collettivo. Giudaismo è la vicenda del popolo ebraico sostanzialmente dalla distruzione del tempo di Gerusalemme fino all’alternarsi della grande diaspora degli Ebrei.
Gli ebrei si ritengono i discendenti di un popolo che visse a Canaan, un’area che si estende nel mediterraneo orientale negli attuali stati di Israele, Giordania e Siria e, discendenti di Abramo, “un armeno errante”, che divenne il padre di una grande nazione. Dio stabilì un’alleanza con lui promettendogli una terra “dove scorre latte e miele”. Nonostante lungo la storia essi non siano mai stati gli unici possessori del suolo, il territorio rimane cruciale per la loro identità. Inoltre, Giudaismo è la sapienza che consente a questo popolo disperso, in tutte le vie e paesi in cui si trova, di custodire la sua originalità e il dato prezioso della sua fede.
Tutto questo si raccoglie in un testo che ha un nome preciso, si chiama Talmud. Questo Talmud è in qualche modo il commento di tutta la Scrittura attraverso le spiegazioni, ma anche i costumi dell’interpretazione, le conseguenze esistenziali che la Parola di Dio ha nel concreto della vita del popolo, nella singola persona, nel luogo, nella gloria, nella coppia, nella famiglia, riguardo al lavoro, nella malattia, per le feste, al momento della morte.
Nato nella regione storicamente definibile come Palestina, in parte coincidente con il territorio dell’odierno stato di Israele, l’ebraismo è oggi diffuso in tutto il mondo: è praticato fuori d’Israele dalle comunità della diaspora, formatesi in seguito ai fenomeni di emigrazione che, spesso a motivo di persecuzioni ed espulsioni, hanno caratterizzato l’intera storia ebraica. La fede incrollabile nell’intervento liberatore della divinità e la coscienza della necessità della conversione al fine di ottenere la salvezza alimentano la speranza nell’avvento di un Messia, l’uomo dalla missione escatologica – “unto dal Signore con il crisma dei re” è il significato dell’ebraico mesiah – che Dio invierà alla fine dei tempi per liberare definitivamente il suo popolo dall’esilio e dalla dominazione straniera e restaurare nella terra dei padri la terra promessa, il regno di pace e prosperità destinato alla stirpe eletta dei suoi fedeli. La sinagoga costituisce l’unico punto di riferimento culturale dell’ ebraismo. Il commento dei testi sacri è affidato a dottori della legge detti rabbini.